Viaggio in Burundi di Giulia / Estate 2018

Ciao a tutti, sono Giulia e vorrei raccontarvi la mia esperienza in Burundi e con l’associazione Urukundo.

Prima di tutto cercherei di spiegare quello che effettivamente sono andata a fare nel mio viaggio di un mese: faccio sempre un po’ fatica a rispondere quando mi viene fatta questa domanda, perché non è un’esperienza di volontariato come siamo soliti intendere, è una vera e propria esperienza di condivisione della vita dei preti, dei fratelli e dei novizi della Congregazione in cui siamo stati ospitati: nonostante la diversità culturale, di abitudini e di visioni abbiamo condiviso la quotidianità di questi ragazzi di 25-30 anni, abbiamo parlato, riso e scherzato con loro.

 

Quelli della Congregazione ci chiamano “visitatori”, ed è questo che praticamente abbiamo fatto: visitare il paese e i progetti di Urukundo e della Congregazione stessa, che sono volti a cercare di migliorare le condizioni di vita dei pigmei, gli ultimi del Burundi. Poi dato che avevamo raccolto delle donazioni prima di partire con un aperitivo di beneficienza, abbiamo cercato di capire quale fosse il modo migliore di destinarle, chiedendo nei villaggi quali fossero i loro problemi, e sulla base di ciò abbiamo deciso di acquistare delle Carte di Assicurazione Medica (CAM) per circa 350 famiglie. Mi è piaciuto tantissimo trovare un progetto pratico da portare avanti, e adoperarmi per realizzarlo: per acquistare queste carte abbiamo dovuto fare dei veri e propri censimenti di 5 villaggi, con tanto di fototessera per ogni genitore.

 

È stato difficile all’inizio constatare che ci sono tanti problemi e che né noi in quel momento né l’associazione in generale poteva pensare di risolvere a breve. Ho provato un iniziale sentimento di impotenza nel confrontarmi con la realtà dei villaggi (e non solo, anche con quella del mercato di Gitega, dell’orfanotrofio, di Ipred, ovvero il centro per ragazzi di strada, del centro disabili).

Uno dei primi giorni abbiamo conosciuto una suora italiana, Suor Erica, e parlandole di questo senso di impotenza, lei mi ha risposto: “Non è vero che non potete fare niente, potete portarci nel cuore”. Ed è questo che voglio fare ora, e voglio anche cercare di trasmettere e diffondere il più possibile di quest’esperienza, lo devo a tutti loro. Anche se ci sembra di non poter fare niente, e che alla fine le donazioni siano solo soldi, per loro questo vuol dire molto, e non solo in termini economici: quando abbiamo incontrato i 9 ragazzi del progetto Università è stato bello sentirsi dire, con gli occhi pieni di gratitudine “Grazie. Senza l’associazione e senza le donazioni noi non potremmo fare questa vita, tutto questo lo dobbiamo a voi”. Incontrarli, vedere la “fine” di un progetto per me è significato molto: dopo un mio primo momento di sconforto per le condizioni apparentemente irrisolvibili in cui vivono nei villaggi, questi ragazzi, che fanno una vita completamente diversa da quella dei loro genitori e dei loro familiari grazie all’istruzione, mi hanno dato la speranza che anche per loro le cose possano cambiare, con il tempo, con la pazienza e con il nostro aiuto.

 

È proprio per questo motivo che poi, una volta tornata, ho deciso di continuare a dare una mano all’interno dell’associazione Urukundo. Sicuramente l’associazione fa quello che puó qua dall’Italia, il che fondamentalmente consiste nel far conoscere la realtà burundese e raccogliere fondi per sostenere i vari progetti, ma la cosa positiva è che tutto questo viene gestito nel miglior modo possibile dalla Congregazione degli Apostoli del Buon Pastore che sanno quali sono le necessità dei Pigmei e conoscono il modo migliore per portargli aiuto.

So che quello che faccio non è molto, e non basta per risolvere tutti i loro problemi, ma se può portare anche solo un sorriso a uno dei nostri amici (è così che chiamiamo il popolo dei Pigmei) so che ne vale la pena.