Viaggio in Burundi di Nicoletta / Agosto 2017

Prima di partire i miei amici e la mia famiglia mi hanno chiesto spesso “perché parti?”, e una volta ritornata dal viaggio mi domandavano “cosa hai fatto?“.
Rispondere a queste domande non è facile, perché non si parla solo di emozioni ma anche di sentimenti e di scelte di vita. È sempre difficile raccontare cosa abbia fatto.
Per me non si va a “FARE” ma a vivere, incontrare, abbracciare, donare, accogliere e condividere. L’Africa non può essere raccontata, la puoi vivere con tutte le sue sfaccettature meravigliose e crudeli. Puoi lasciarti toccare dalle relazioni e decidere che non rimanga solo un tocco superficiale, ma continuare a seminare ed annaffiare ogni giorno, con tutte le difficoltà ma senza perdere la fiducia e la speranza.
Quando sono arrivata in Burundi la prima impressione è stata che il paese non è cambiato per niente, anzi, sembra che le tremende regole del commercio internazionale lo abbiano impoverito e sfruttato ancora di più, non solo per l’aspetto economico, che è stata la prima cosa che ho notato, ma anche per quello spirituale.
Mi domandavo il perché e cosa fosse possibile fare.
Durante la visita nei villaggi dei pigmei ho avuto la conferma delle risposte alle mie domande, è stato fenomenale vedere i piccoli grandi svilluppi, non grazie alla beneficenza, ma grazie a un percorso che dura da anni con la Congregazione. Ho avuto l’impressione che nei villaggi dei pigmei ci fosse un livello di igiene molto più alto rispetto a cinque anni fa, grazie ai progetti di sensibilizzazione e al progetto delle adozioni, si permette ai bambini non solo di andare a scuola e di integrarsi con le altre “etnie”, ma anche di gestire con consapevolezza la propria salute e il prendersi cura di sé.
Un’altra conferma della mia scelta mi è arrivata quando ho trascorso un pomeriggio insieme ai ragazzi del Progetto Università…stare con loro condividere sogni, storie, desideri, ambizioni. Questo mi ha dato la conferma che ognuno di noi ha un po’ il “potere” di cambiare concretamente. Una testimonianza significativa di integrazione l’ho avuta incontrando Francine, una ragazza del villaggio di Zege sposata con un ragazzo di un’altra etnia; fino a qualche anno fa erano impensabili matrimoni tra pigmei e hutu o tutzi. Oggi Francine è felicemente sposata con due bambini, vive nella città di Gitega, lavora in una bottega di sartoria e le piacerebbe fare dei corsi professionali per insegnare anche ad altre ragazze pigmee il suo mestiere.
Che cos’è il mal d’Africa? Ma soprattutto esistono delle “cure”? Per me non è solo nostalgia, ricordi, desideri, ma è un impegno quotidiano, è una corresponsabilità e un cammino insieme ai fratelli.
Già 5 anni fa il Burundi mi aveva donato un cuore e degli occhi nuovi, oggi mi ha donato l’opportunità di rinnovare il mio impegno e consolidarlo.